Se Fonte Gaia è stata ribattezzata dai senesi come la Fonte Regina, Fontebranda è sicuramente la fonte più bella che Siena abbia mai visto. Fontebranda
è la fonte che ha visto nascere e crescere Santa Caterina da Siena. Citata
anche da Dante nel canto XXX dell'inferno. Fontebranda è la più famosa. Fontebranda la più
antica (le prime notizie storiche risalgono al 1081). Fontebranda la più imponente tra le
fonti senesi e da molti considerata la più bella fonte i tutta la Toscana.
Fontebranda è un modello di architettura tipica senese che permise, già
all'epoca, di poter sfruttare ogni goccia di acqua, prima di perderla nelle
fogne bianche. Infatti, dal primo bacino di raccolta veniva attinta, da una
presa, l'acqua buona che fuoriusciva direttamente dal bottino e quindi
potabile. La prima vasca, detta "fonte", riconoscibile per la sua
bellezza e protetta da parapetti per evitare l'ingresso di sporcizia, forniva
acqua corrente per usi primari. Dentro questa prima fonte venivo fatti nuotare
dei pesci con la funzione di eliminare alghe e larve. Da questa vasca, l'acqua
traboccava poi da uno sfioratoio, in una vasca successiva chiamata "abbeveratoio",
per poi defluire in una terza vasca detta "lavatoio" dove le donne
lavavano i panni, o deve i pellai ed i tintori sciacquavano i loro tessuti.
Infine l'acqua proseguiva il suo percorso all'interno di un canaletto dove si
potevano pulire le interiora degli animali macellati e un altro canale detto il
"guazzatoio" veniva utilizzato per lavare bestie e carri. Fontebranda
subì nel 1873 una modifica che vide scomparire l'abbeveratoio per inserirvi un "bagno
pubblico a pago". L'acqua sporchissima che usciva dal bagno pubblico
scorreva lungo la vallata sottostante per alimentare ben 10 mulini e per finire
poi come acqua d'irrigazione dei campi.
mercoledì 29 luglio 2015
lunedì 27 aprile 2015
La fonte regina: Fonte Gaia

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Ubicazione:
53100 Siena SI, Italia
martedì 14 aprile 2015
Jacopo della Quercia
Figlio di un orafo e intagliatore di legno, trascorse l’infanzia a Siena
dove, a contatto con le numerose botteghe di orafi e scultori, imparò l’arte
della scultura della pietra, del legno, dell’oro e del bronzo. Nel 1387 si
trasferì a Lucca con la famiglia distinguendosi subito per l’indole irrequieta
e rissosa. Avendo percosso a sangue un cittadino lucchese sulla porta della
Cattedrale, fu denunciato, bandito dal territorio e costretto a fuggire a Firenze
dove, qualche anno dopo, partecipò al concorso per la costruzione della seconda
porta del Battistero. Così detto probabilmente dal soprannome della
madre, la sua formazione è estremamente dibattuta tra chi ritiene che abbia
compiuto il suo tirocinio presso i fratelli Dalle Masegne a Bologna e chi lo
vede, in Siena, intento a rimeditare la grande lezione di Nicola e di Giovanni Pisano.
Sempre in viaggio tra Siena, Lucca, Bologna e Firenze, disseminò il suo cammino
artistico di continui contrasti con i committenti, subendo denunce, solleciti,
intimidazioni e riduzioni dei compensi per mancato rispetto dei termini di
consegna e per mancata o parziale esecuzione delle opere commissionate. La
sua formazione si basava sul linguaggio del gotico senese, che sfrondò dagli effetti più aggraziati e, in certo
senso, cerebrali. Assimilò le più avanzate ricerche fiorentine, della scultura borgognona e il
retaggio classico, che reinterpretò con originalità, dando origine a opere
virili e concrete, dove sotto le complicate pieghe del panneggio gotico si nascondono corpi robusti e solidi. Già nei rilievi della Fonte Gaia, a fronte di un impianto generale,
consono alla tradizione, si rileva una straordinaria libertà compositiva e
un'innovativa vitalità dei rilievi. Nel 1406-1407 Jacopo eseguì il
monumento funebre alla giovane moglie di Paolo Guinigi, signore di Lucca, Ilaria del Carretto, morta di parto nel 1405. Distaccandosi dai complicati,
e talvolta macchinosi, complessi funerari del Trecento, l'opera, è situata
nella Cattedrale di San Martino di Lucca, consiste di un sarcofago dai fianchi
classicamente decorati, sul cui coperchio giace l'immagine soavissima della
defunta. Una lunga e travagliata gestazione ebbe un'opera che fu tanto ammirata
e famosa da far attribuire all'artista l'appellativo, spesso citato dagli
antichi scrittori, di "Jacopo della Fonte". È la fonte per il Campo
di Siena, detta, per la gioia che procurò l'arrivo dell'acqua in quel luogo, la Fonte Gaia. Essa gli fu allogata dal Comune nel 1409, ma la sua
esecuzione si effettuò prevalentemente dal 1414 al 1419, quando venne
inaugurata. Ispirandosi alla struttura tradizionale delle fonti pubbliche senesi del
Medioevo, e privandola della copertura a volte e delle sovrastrutture, Jacopo
concepì la sua a guisa di un bacino rettangolare circondato da tre parti da un
alto parapetto, di cui i due lati corti a sagoma discendente recano a
bassorilievo la Creazione di Adamo e la Cacciata dall'Eden e, sui pilastri
anteriori, due statue femminili rappresentanti, secondo la tradizione, Rea
Silvia e Acca Larenzia, in omaggio alle mitiche origini romane della città,
mentre in quello più lungo domina, al centro, la Madonna col Bambino circondata
dalle allegorie delle Virtù. Il grande ritardo e la discontinuità
dell'esecuzione della Fonte Gaia si debbono probabilmente al fatto che Jacopo
era occupato anche a Lucca, di cui un documento del 1413 lo dice
"habitator" e dove in quell'anno gli venivano commesse le sculture.
lunedì 13 aprile 2015
Le fonti di Siena

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venerdì 3 aprile 2015
Una famiglia di bottinieri: i Gani

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giovedì 2 aprile 2015
Mariano di Jacopo detto il Taccola
Mariano di Iacopo, detto il
Taccola, probabilmente per il suo naso aquilino, inaugura la rinascita della
cultura tecnica a Siena. Dalla frequentazione della bottega di Iacopo della
Quercia egli trasse l'abilita di disegnatore che si riscontra nella sua opera. Con
Taccola entra in scena la figura nuova dell'ingegnere autore di testi
tecnologici illustrati dove le immagini sono concepite come strumento
fondamentale di comunicazione. I temi trattati da Taccola riflettono le
esigenze del territorio senese. Il problema fondamentale di Siena era
rappresentato dalla difficoltà di approvvigionamento idrico. Per questo le
applicazioni idrauliche costituiscono uno dei capitoli piu ricchi e originali
dell'opera di Mariano. Legati alle esigenze della Repubblica Senese appaiono
anche i progetti di bonifica delle paludi maremmane o i riferimenti alle
attività minerarie. Nel notevole interesse di Taccola per le tecniche militari
troviamo il riflesso delle costanti guerre nelle quali la ghibellina Siena fu
impegnata, soprattutto contro la guelfa Firenze. Mariano offri i propri servigi
all'Imperatore Sigismondo, Re d'Ungheria, che soggiorno a Siena nel 1432. Mariano
di Jacopo nacque a Siena il 4 febbraio del 1381. Suo padre Iacopo era
un vignaiolo. Praticamente nulla si conosce dei suoi primi anni e del suo
apprendistato. Quando fu adulto, intraprese le carriere di notaio,
segretario all'università, scultore, sovrintendente ai trasporti ed
ingegnere idraulico. Negli anni 40 del XV secolo, si ritirò da tutti
i ruoli ufficiali grazie ad una pensione statale. Si sa, inoltre, che
entrò nell'ordine di San Giacomo intorno al 1453, anno nel quale
probabilmente morì. Accanto ai suoi trattati di ingegneria militare,
numerosi suoi scritti, rimasti inediti, sono dedicati a studi e ad applicazioni
di ingegneria idraulica. Nei manoscritti di Taccola, come in altri trattati di
altri ingegneri senesi a lui contemporanei, gli studi sulla regolamentazione
delle acque rispecchiano l'esigenza di dotare la città di Siena, sprovvista di
corsi d'acqua naturali, di un sistema di approvvigionamento di acque potabili,
che ovviasse alle carenze del territorio. Soprannominato anche l'Archimede senese,
il Taccola si pone agli inizi della tradizione rinascimentale ingegneristica
italiana, soprattutto per la varietà delle problematiche trattate. I suoi
disegni furono poi adoperati dalla quasi totalità della generazione di
ingegneri del XV e del XVI secolo. Sui suoi disegni si basano inoltre gli studi
del Brunelleschi che portarono alla costruzione della cupola di Santa
Maria del Fiore.
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Operai dell'acqua

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martedì 31 marzo 2015
Morte nei bottini

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giovedì 26 marzo 2015
Streghe di Siena
Verso il 1200 a Siena, ma anche
in molte altre città europee, si era poco propensi allo scherzo ed alla burla. Non
si accettavano di buon grado i ciarlatani, i girovaghi, i maghi e nemmeno a
dirlo le streghe che, come tutti noi sappiamo, sono state perseguitate
duramente per molti anni. Le leggi erano dure ed inflessibili contro i
trasgressori, anche per i reati relativi alle acque: tanto che venivano
comminate pene durissime a chiunque fosse stato beccato a sporcare l'acqua dei
bottini o delle fonti. Era un reato usare recipienti sporchi per attingere
acqua dalle fonti, era vietato gettarvi rifiuti, introdursi illegalmente nei
bottini e sprecare l'acqua; pena multe salatissime per i signori della città di
Siena o pene corporali per i popolani (frustate alle donne e tiri di fune in
Piazza del Campo per gli uomini). Insomma con l'acqua di Siena non si scherzava
poi tanto, infatti, in caso di assedio della città chiunque fosse stato trovato
nei bottini sarebbe stato subito condannato a morte. Un caso simile successe
veramente a Siena nel 1262 sulla pelle di una donna (fiorentina?) che fu
accusata davanti alla Santa Inquisizione di essere una strega che stava
avvelenando l'acqua della città. Ovviamente la povera donna non era certo una
strega, ma il caso volle che non seppe in alcun modo spiegare cosa facesse, in
quel preciso istante, nei pressi dei bottini e così fini scorticata viva e
bruciata in Piazza del Campo, come monito per tutti i cittadini. Ma non furono
solo le donne ad essere usate come capro espiatorio, la stessa sorte toccò
anche a molti pellegrini che passando da Siena tramite la via Francigena,
venivano accusati di sabotare le acque della città.
lunedì 23 marzo 2015
Fuggisole
Chi conosce la storia dei bottini
e le sue leggende conoscerà sicuramente le storie sui mitologici personaggi che
li abitavano e abitano, perchè no, il sottosuolo senese, ovvero i
"fuggisole" e gli "omaccioli". Queste creature, esistevano
per lo più nella mente e nella fantasia
dei lavoratori dei bottini che abbiamo imparato a conoscere come
"guerchi".Nei bottini, infatti, scarseggiava la luce, se non quella
prodotta dalle candele e dai lumini a olio, quindi l'oscurità mista
all'ignoranza spesso e volentieri contribuiva ad alimentare le superstizioni.
Le creature di cui i lavoratori dei bottini avevano più paura erano i
"fuggisole"e gli "omiccioli" che li facevano fuggire urlando
a gambe levate da sotto terra. Gli "omiccioli" avevano le sembianze
di piccoli uomini e si limitavano a danzare e a mettere allegria a chiunque li
incontrasse, come una sorta di pagliacci del buio. Per i "fuggisole"
invece il discorso è molto diverso dato che avrebbero avuto il potere di
avvelenare le persone soffiandoli addosso. I "fuggisole" comparivano
all'improvviso come lampi di luce simile ad un sole, per poi spegnersi
all'improvviso. Si pensa che questi fenomeni altro non fossero che la
conseguenza delle esalazioni di gas chiusi nella terra e che se liberati
provocassero un bagliore simile a quello dei fuochi fatui dei cimiteri. Ad ogni
modo, lavorare sotto Siena doveva essere davvero spaventoso anche senza questi
personaggi fantastici, per questo i guerchi si facevano coraggio bevendo vino
per esorcizzare la paura. Vino con il quale venivano pagati e che forse
alterava il loro senso della realtà.
domenica 8 marzo 2015
Minatori e guerchi
Lavorare in quei cunicoli era
tremendo e lo era ancor di più in estate, dato che la forte differenza di
temperatura tra interno ed esterno poteva causare non pochi problemi agli
operai. Gli scavatori che si trovavano a lavorare nei bottini erano sottoposti
a condizioni estreme, non solo di temperatura ma anche di fatica, visibilità e sicurezza.
Chi lavorava nel sottosuolo senese veniva comunemente chiamato, dalla gente di
sopra "guerco", termine che può essere spiegato in due differenti
modi: i primo è quello più semplice, e deriva dal fatto che gli operai dopo
aver passato molte ore in condizioni di scarsa visibilità, si ritrovavano con
la vista talmente annebbiata da non vedere più niente, tanto che gli occhi
quasi gli si chiudevano alla luce del sole, da cui la parola
"guerchi" che altro non vuol dire che ciechi; l'altra spiegazione
invece deriva da una italianizzazione della parola tedesca "werk"
ovvero lavoro, che potrebbero aver fatto loro gli abitanti della Siena di
allora. Come dicevo in apertura, lavorare nei cunicoli sotto Siena era duro e
pericoloso, tanto che in molti ci lasciarono la vita. La suddivisione dei
lavori sotto Siena prevedeva oltre gli scavatori o "guerchi", anche
carpentieri, muratori, vetturali e le donne usate come staffette per i
rifornimenti di vivande, dato che molto spessp gli uomini non potevano risalire
in superfice. In tutta questa moltitudine di mestieri e lavori, si potevano
incontrare anche operai specializzati come i minatori di Massa e Montieri che,
a differenza dei guerchi, venivano ben pagati.
martedì 3 marzo 2015
La tassa del dado
Fu dal 1400 che si iniziò la
registrazione degli allacciamenti privati ai bottini, dato che spettava ai
cittadini pagare le spese di scavo. Infatti, questa era l'unica forma di
pagamento che il Comune di Siena pretendeva da chi si collegava ai bottini;
fino al 1500 a Siena non vi era traccia di nessuna tassa per l'erogazione
dell'acqua che era quindi gratuita per tutti. Soltanto a partire dal 1590 i
cittadini con allacciamenti privati ai bottini dovettero iniziare a pagare il
comune per il servizio dell'acqua, tassa da cui erano esentati i religiosi. Nel
secolo successivo, ovvero nel 1600, il numero di allacciamenti crebbe in
maniera esponenziale e siccome la prevenzione contro ogni forma di abusivismo
non bastava, nel 1691 la magistratura della Biccherna impose a tutti coloro che
avevano pozzi di non intorbidirne le acque, di non deviarne il corso e di non
prenderne mai più del dovuto. Si passò poi ad un altra imposizione che prevedeva
la chiusura di tutti i collegamenti con i bottini a meno che non si
installasse, nel punto di congiunzione fra il gorello del bottino maestro e il
proprio condotto, un misuratore per la regolazione della portata regolata dal
magistrato della Biccherna. Tale regolatore di flusso, altro non era che un
semplice foro su una lastra di bronzo, che lasciava passare la portata
prefissata di 344 litri/giorno ovvero 8 barili. In questo modo nacque la prima
tassa sulle acque, conosciuta all'epoca come
"il dado" e che rimase in voga fino al XXI secolo. In pratica
gli utenti che volevano beneficiare dell'acqua nella loro cisterna, avrebbero
dovuto presentarsi ad un addetto del comune con una lastra affinche venisse
forata nel modo corretto e poi fissata dal capomastro comunale tra l'innesto
del gorello e il condotto privato. Oltre a tutto questo erano gli stessi utenti
che dovevano mantenere in funzione e pulita la deviazione, dato che il calcare
poteva limitare fortemente il flusso di acqua. Bisogna sempre ricordare che i
bottini avevano una funzione pubblica e non privata, quindi in periodi di forte
siccità il comune poteva chiudere i condotti privati per alimentare le fonti
della città e com'è facile capire queste interruzione generavano spesso
violente proteste da parte dei cittadini. Non bisogna scordare che in quel periodo
la città era in forte crescita e lo erano anche i bisogni dei suoi cittadini,
così potevamo avere cittadini che nella stessa fonte lavavano pellami, budella
di animali, facevano abbeverare cavalli. Insomma le acque bianche e quelle nere
si mischiavano tra di loro e in caso di infrazione il dado poteva essere turato
con un dito di creta.
martedì 10 febbraio 2015
Pirati dell'acqua
Solo nel 1400 la rete dei bottini
senesi raggiunse la sua massima espansione, alimentando sia le fonti
pubbliche sia le cisterne private. Per far si che l'acqua non mancasse mai ne
alle fonti ne alle cisterne, fu istituita una figura di vigilanza detta "il
bottiniere", il quale aveva il compito di vigilare sulla portata idrica
dei bottini, scongiurando furti di acqua da parte dei cittadini. A seguito di
una segnalazione di furto idrico, da parte del bottiniere, si poteva arrivare
anche alla sospensione del servizio di approvigionamento. Le regole a quel
tempo erano molto severe e si privilegiava sempre e comunque il bisogno
pubblico su quello privato, quindi in caso di carenza di acqua nei bottini, si
poteva sospendere la distribuzione privata. Queste regole non furono create per
caso, dato che nel 1364 molti cittadini privati iniziarono ad abusare delle
loro concessioni, facendo scarseggiare l'acqua in tutta la città, e ricevendo
salate sanzioni per i loro abusi. Le autorità senesi erano molto preoccupate
per i continui furti di acqua praticate nei bottini per l'approvigionamento
idrico o per la pulizia degli abiti, pratica questa che poteva inquinare e
compromettere la salubrità delle acque. Si dovette aspettare il 1410 perchè il
comune prendesse la decisione di chiudere in maniera coatta le aperture
abusive, senza però trarne risultato date che gli allacciamenti illegali non si
arrestarono. Lo scopo dei bottini infatti non era quello di servire le
abitazioni private, ma quello di approvigionare le fonti cittadine. Purtroppo
l'accesso ai bottini era molto semplice da realizzare, dato che bastava
scavare nella morbida sabbia compatta del sottosuolo senese e deviare il corso
del bottino, con una piccola ramificazione, fino alla cantina della propria abitazione.
Queste azioni illegali continuarono almeno fino al 1500 nonostante la figura
del povero bottiniere che non riusciva a combattere il malcostume. Solo nel 1589 la biccherna emise un bando per
imporre ai proprietari dei pozzi alimentati dai bottini, l'adozione di un
sistema di trabocco per far ritornare l'acqua in eccesso nella rete. Tale
sistema prese il nome di "tornaindietro" e fu uno delle tante
invenzioni di un popolo che ha sempre dovuto fare i conti con la scarsità
idrica.
Ubicazione:
53100 Siena SI, Italia
domenica 8 febbraio 2015
Pozzo della Diana e la sua storia
Il pozzo della Diana, gioia e
tormento dei frati Carmelitani e speranza di approvigionamento idrico per la
città, visse glorie alterne. Infatti, dopo le cure amorevoli dei frati
Carmelitani, il pozzo cambierà padroni e dopo secoli di attenzioni e
manutenzioni, i frati furono costretti a lasciare il convento per effetto delle leggi napoleoniche
tra il 1808 e 1810, potendo tornare solo durante la restaurazione, per poi essere
successivamente allontanati nel 1861, quando il convento fu convertito in caserma.
Nel corso del 1800 alcune misurazioni effettuate dai corpi militari, stanziati
a Siena, descrivevano il pozzo della Diana come un pozzo profondo 45 metri,
almeno così si raccontava in una lettera al Sindaco di Siena nel 1882 dal
55° reggimento. Nel 1887 a seguito delle operazioni di spurgo del pozzo,
eseguito dal genio militare, al Sindaco fu inviata una missiva dal tecnico
Barsotti, incaricato dal comune per seguire i lavori, dalla quale si possono
estrarre interessanti informazioni: pozzo a gola rettangolare in muratura, di forma circolare e scavato nel tufo per una profondità esatta di 48
metri e 70 cm. Il pozzo è praticamente asciutto per i primi 40 metri di
profondità, da qui in poi e per i successivi 8 metri le pareti del pozzo trasudano
acqua. A 5 metri dal parapetto del pozzo parte un piccola galleria in direzione
nord, che porta tramite una scala al convento dei frati. Quando i militari
lasciarono il convento e durante la ristrutturazione per convertire l'edificio
a sede universitaria, il pozzo fu riempito con materiali di risulta.
Ubicazione:
53100 Siena SI, Italia
venerdì 23 gennaio 2015
Il Convento del Carmine
Convento
realizzato alla fine del XIII secolo a ridosso della parte più
antica e più alta della città di Siena, conosciuta anche come il
rione di Castelsenio.
L’edificio, fin dall’origine, è stato utilizzato come convento
dei Frati Carmelitani Scalzi, un ordine mendicante sorto pochi anni
prima in Terra Santa. Nel corso di oltre sette secoli l’edificio è
stato sempre abitato dai Frati Carmelitani Scalzi ad eccezione di
alcune parentesi storiche, allorquando, prima il Granducato di
Toscana, poi Napoleone Bonaparte ed in seguito il neo costituito
Regno di Italia nel 1860 hanno
sottratto
la proprietà ai Frati. Ogni volta, a seguito di tali soppressioni
statali, i Padri hanno riacquistato il convento per poter continuare
a svolgervi l’attività religiosa. Accanto al convento vi è la
chiesa
di San Niccolò del XII secolo.
L’edificio, nel suo complesso, ha mantenuto la stessa
impostazione
architettonica originaria e, anche al suo interno, vi sono
testimonianze dirette di tale impostazione. Nello spazio aperto posto
nel retro del convento, è stata ritrovata l’entrata del famoso
“pozzo della Diana”.
Si
tratta di un pozzo molto profondo e molto antico il cui scavo è
stato avviato già nel XII secolo dagli allora abitanti della zona
per tentare di trovare l’acqua del mitico fiume della Diana. La
ricerca spasmodica dell’acqua è stata una delle fissazioni
principali dei senesi nel periodo medievale. In effetti la scarsa
disponibilità di questa risorsa ha fortemente condizionato anche i
destini storici della città ed è per questo che il Comune di Siena
ed i suoi cittadini hanno ricercato questa preziosa risorsa nel corso
dei secoli. Senza più alcun dubbio gli storici hanno individuato in
tale scavo il pozzo che doveva portare ad attingere acqua dal mitico
fiume sotterraneo della Diana. Non a caso, la via dove apre i suoi
battenti “il Chiostro del Carmine” si chiama Via della Diana.
Le
cronache del Trecento (in particolare quelle di Agnolo di Tura del
Grasso e del Bisdomini) pongono tra il 1157 e il 1174 l’escavazione
del pozzo della Diana nell’orto del convento dei Carmelitani,
suffragando la presenza dei frati in questa zona della città nella
metà del XII secolo.
La
datazione è però da rivedere perché lo scavo del pozzo
della Diana fu
portato a conclusione nel primo trentennio del XIV secolo, come
attesta una delibera del Consiglio Generale che destinava una somma
di denaro a favore dei frati del Carmine "per convertire nel
uopera, fazzione et spedizione" d’un loro pozzo, già
cominciato a scavare
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Pozzi
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53100 Siena SI, Italia
Il pozzo della Diana
Secondo
alcune cronache del trecento, nel 1176 i frati del Conventodel Carmine
avrebbero scavato nei pressi di Castelvecchio, riuscendo a trovare
una ricca vena d'acqua che avrebbe legittimato ulteriori ricerche. I
fraticelli, grazie alla loro opera di escavazione, didedero il via ad
un lavoro mastodontico che salvò Siena dalla siccità. Basti pensare
che il pozzo scavato dai Carmelitani e conosciuto come il pozzo della
Diana, stando alle cronache del tempo, era profondo più di 40 metri.
I lavori iniziarono appena in città si diffuse la voce della
presenza di una ricca vena d'acqua proprio sotto i lori piedi. I
frati non se lo fecero ripetere due volte e vista la loro penuria
d'acqua, iniziarono subito le opere di scavo arrivando a raggiungere
le 80 braccia di profondità, ma già a 60 braccia il pozzo dette i
primi segni di presenza di acqua. A quel punto i frati entusiasti
della loro scoperta, realizzarono un attraversamento fino a via di
Maremma e da li scavarono per altre 6 braccia riuscendo a trovare la
vena tanto desiderata. Le cronache raccontano che il giorno seguente
nel pozzo della Diana, i frati trovarono una grande quantità di
acqua e dal sapore buonissimo.
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Pozzi
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53100 Siena SI, Italia
mercoledì 21 gennaio 2015
Il fiume che non c'è
Vide un'ombra sollevare il mento con aria interrogativa, come sono
soliti fare i ciechi e la interrogò. La penitente rispose di essere stata senese, e di fare ammenda delle sue colpe. Avrete capito che si tratta del tredicesimo canto
del Purgatorio ed a rispondere è Sapia, una nobil donna senese che
definì i suoi concittadini:
“...gente
vana
che spera in Talamone, e perderagli
più di speranza ch’a trovar la Diana...”
che spera in Talamone, e perderagli
più di speranza ch’a trovar la Diana...”
Il
giudizio sprezzante e irriverente che il sommo poeta da dei senesi
per bocca di Sapia, è ben impresso, ancora oggi, nella mente di ogni
abitante di Siena, e si somma ad uno dei tanti motivi per qui i
senesi non sopportano i cugini di Firenze. Con questa terzina, forse
la più odiata da tutta Siena, Dante fissa per sempre l'eco di una
leggenda tanto straordinaria e folle, da aver superato le mura
cittadine già nel 1200. A Siena infatti, ormai da diversi secoli, si
era diffusa in modo capillare la credenza e l'ossessione che sotto la
città scorresse un fiume ricco di acque e portatore di prosperità
per tutta Siena. Tra le mura di Siena, almeno fino al 1300, il comune
finanziava, con spese enormi, ogni opera di ogni cittadino che si
prendesse la briga di scavare dei pozzi al fine di trovare
dell'acqua. Questa impresa di esplorazione del sottosuolo senese, non
fu per niente vana, dato che valse a recuperare grandi quantità di
acqua per lo sviluppo e la sopravvivenza di Siena, garantendo una
fitta rete di cunicoli sotterranei che diedero vita ad un vero e
proprio acquedotto. Ovviamente, il mitico fiume sotterraneo fu
cercato con ossessiva meticolosità, senza però mai trovarlo, anche
se qualcuno ancora oggi sostiene di poterlo sentire scorrere sotto la
città nelle ore notturne. Il nome Diana indicava un'abbondante vena
d'acqua che avrebbe dovuto scorrere sotto il poggio di Castelvecchio,
confluendo con il torrente Tressa. La Diana quindi risulta esistere
più nell'immaginazione dei senesi che non nel sottosuolo della
città. Il fiume mitologico battezzato Diana, come la dea cacciatrice
e al tempo stesso protettrice della creazione, indica un legame
privato e profondo tra la città, i suoi cittadini e il bisogno di
acqua che li ha caratterizzati nei secoli.
lunedì 19 gennaio 2015
Scaviamo i pozzi!
Il periodo dell'anno che
i senesi amavano meno, era sicuramente quello estivo. Il solo corso
d'acqua che lambiva marginalmente le terre senesi era il piccolo
torrente Merse, sempre secco nei mesi caldi e non certo di facile
fruibilità. In città scommetto che in molti rimpiangevano
amaramente i 70 chilometri di strade che separavano Siena dall'unico
grande fiume toscano, ovvero l'Arno. Pieni di rimpianti per essere
stati orfani di un grande fiume, i cittadini di Siena, iniziarono in
modo caparbio e testardo a fare pozzi ovunque sperando che prima o
poi qualche vena d'acqua saltasse fuori. In questo modo avrebbero
potuto dimostrare ai cugini fiorentini, non senza orgoglio, che anche
Siena possedeva il suo fiume. I senesi impararono presto che sorgere
sulla cima di una collina era l'ideale per difendere la città dai
nemici, leggisi Firenze, e che era molto meno ideale per dissetarsi.
In epoca medioevale, l'acqua era il volano dell'economia e anche
della vita: l'acqua era una fonte di energia, un liquido primario, un
simbolo di purezza che garantiva crescita e prosperità. Un bene
imprescindibile che i senesi seppero garantire fino ai giorni nostri
attraverso una articolata rete di tunnel sotterranei.
Tutte le più grandi
città sono sorte vicino a dei fiumi; regola questa che non è valsa
per Siena, edificata sulla cima di tre colline in una posizione meno
malsana, meno soggetta ad esondazioni e sicuramente più facile da
difendere. Una scelta questa sicuramente diversa da quelle delle
altre città, dettata da ragioni strategiche e militari ha scapito di
quelle urbanistiche, ma che comunque non ha evitato a Siena di
crescere e prosperare nei secoli, grazie all'ingegno dei suoi
abitanti che hanno strappato l'acqua dalle profondità della terra
per portarla in superficie tramite le fonti.
Una delle motivazioni che
stanno alla base del divario economico, urbanistico e politico tra la
Siena e la Firenze di epoca medioevale, va appunto ricercato nella
mancanza di una fonte idrica adatta alle esigenze della città della
balzana. Infatti nonostante gli sforzi che hanno portato alla
realizzazione di bottini e fonti, molte attività artigianali furono
costrette ad abbandonare le mura cittadine e a trasferirsi verso
centri bagnati da fiumi.
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Acqua di Siena
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