mercoledì 29 luglio 2015

La fonte più bella: Fontebranda

Se Fonte Gaia è stata ribattezzata dai senesi come la  Fonte Regina, Fontebranda è sicuramente  la fonte più bella che Siena abbia mai visto. Fontebranda è la fonte che ha visto nascere e crescere Santa Caterina da Siena. Citata anche da Dante nel canto XXX dell'inferno. Fontebranda è la più famosa. Fontebranda la più antica (le prime notizie storiche risalgono al 1081). Fontebranda la più imponente tra le fonti senesi e da molti considerata la più bella fonte i tutta la Toscana. Fontebranda è un modello di architettura tipica senese che permise, già all'epoca, di poter sfruttare ogni goccia di acqua, prima di perderla nelle fogne bianche. Infatti, dal primo bacino di raccolta veniva attinta, da una presa, l'acqua buona che fuoriusciva direttamente dal bottino e quindi potabile. La prima vasca, detta "fonte", riconoscibile per la sua bellezza e protetta da parapetti per evitare l'ingresso di sporcizia, forniva acqua corrente per usi primari. Dentro questa prima fonte venivo fatti nuotare dei pesci con la funzione di eliminare alghe e larve. Da questa vasca, l'acqua traboccava poi da uno sfioratoio, in una vasca successiva chiamata "abbeveratoio", per poi defluire in una terza vasca detta "lavatoio" dove le donne lavavano i panni, o deve i pellai ed i tintori sciacquavano i loro tessuti. Infine l'acqua proseguiva il suo percorso all'interno di un canaletto dove si potevano pulire le interiora degli animali macellati e un altro canale detto il "guazzatoio" veniva utilizzato per lavare bestie e carri. Fontebranda subì nel 1873 una modifica che vide scomparire l'abbeveratoio per inserirvi un "bagno pubblico a pago". L'acqua sporchissima che usciva dal bagno pubblico scorreva lungo la vallata sottostante per alimentare ben 10 mulini e per finire poi come acqua d'irrigazione dei campi. 

lunedì 27 aprile 2015

La fonte regina: Fonte Gaia

Fra i molti bottini senesi, i rami maestri, ovvero quelli principali, sono due: quello di Fonte Branda lungo 7.5 chilometri e quello di Fonte Gaia lungo ben 15 chilometri. Quest'ultimo può essere considerato il bottino per eccellenza di tutta Siena, dato che porta l'acqua alla fonte regina della città, quella posta nel salotto di Siena, ovvero Fonte Gaia.  Anche se è la più recente tra le fonti senesi, Fonte Gaia, trovandosi in Piazza del Campo riveste un ruolo importantissimo, sia a livello artistico che ingegneristico per la città. Nel 1334 l'ingegnere Jacopo di Vanni fu autorizzato dal consiglio generale del comune a scavare un bottino altro 3 braccia e largo uno e mezzo, in grado di portare abbondante acqua in Piazza del Campo. Fu realizzato in soli 3 anni, utilizzando due squadre di operai che partirono dalle due estremità per poi incontrarsi a metà percorso,  intercettando le vene a nord della città, le uniche a quote così alte da poter fornire acqua per caduta. Il numero dei pozzi lungo il bottino di Fonte Gaia ha subito notevoli variazioni nel corso dei secoli, passando da 270 nel 1638 a nel  1797, per poi diminuire nel 1915 a soli 255.

martedì 14 aprile 2015

Jacopo della Quercia

Figlio di un orafo e intagliatore di legno, trascorse l’infanzia a Siena dove, a contatto con le numerose botteghe di orafi e scultori, imparò l’arte della scultura della pietra, del legno, dell’oro e del bronzo. Nel 1387 si trasferì a Lucca con la famiglia distinguendosi subito per l’indole irrequieta e rissosa. Avendo percosso a sangue un cittadino lucchese sulla porta della Cattedrale, fu denunciato, bandito dal territorio e costretto a fuggire a Firenze dove, qualche anno dopo, partecipò al concorso per la costruzione della seconda porta del Battistero. Così detto probabilmente dal soprannome della madre, la sua formazione è estremamente dibattuta tra chi ritiene che abbia compiuto il suo tirocinio presso i fratelli Dalle Masegne a Bologna e chi lo vede, in Siena, intento a rimeditare la grande lezione di Nicola e di Giovanni Pisano. Sempre in viaggio tra Siena, Lucca, Bologna e Firenze, disseminò il suo cammino artistico di continui contrasti con i committenti, subendo denunce, solleciti, intimidazioni e riduzioni dei compensi per mancato rispetto dei termini di consegna e per mancata o parziale esecuzione delle opere commissionate. La sua formazione si basava sul linguaggio del gotico senese, che sfrondò dagli effetti più aggraziati e, in certo senso, cerebrali. Assimilò le più avanzate ricerche fiorentine, della scultura borgognona e il retaggio classico, che reinterpretò con originalità, dando origine a opere virili e concrete, dove sotto le complicate pieghe del panneggio gotico si nascondono corpi robusti e solidi. Già nei rilievi della Fonte Gaia, a fronte di un impianto generale, consono alla tradizione, si rileva una straordinaria libertà compositiva e un'innovativa vitalità dei rilievi. Nel 1406-1407 Jacopo eseguì il monumento funebre alla giovane moglie di Paolo Guinigi, signore di Lucca, Ilaria del Carretto, morta di parto nel 1405. Distaccandosi dai complicati, e talvolta macchinosi, complessi funerari del Trecento, l'opera, è situata nella Cattedrale di San Martino di Lucca, consiste di un sarcofago dai fianchi classicamente decorati, sul cui coperchio giace l'immagine soavissima della defunta. Una lunga e travagliata gestazione ebbe un'opera che fu tanto ammirata e famosa da far attribuire all'artista l'appellativo, spesso citato dagli antichi scrittori, di "Jacopo della Fonte". È la fonte per il Campo di Siena, detta, per la gioia che procurò l'arrivo dell'acqua in quel luogo, la Fonte Gaia. Essa gli fu allogata dal Comune nel 1409, ma la sua esecuzione si effettuò prevalentemente dal 1414 al 1419, quando venne inaugurata.  Ispirandosi alla struttura tradizionale delle fonti pubbliche senesi del Medioevo, e privandola della copertura a volte e delle sovrastrutture, Jacopo concepì la sua a guisa di un bacino rettangolare circondato da tre parti da un alto parapetto, di cui i due lati corti a sagoma discendente recano a bassorilievo la Creazione di Adamo e la Cacciata dall'Eden e, sui pilastri anteriori, due statue femminili rappresentanti, secondo la tradizione, Rea Silvia e Acca Larenzia, in omaggio alle mitiche origini romane della città, mentre in quello più lungo domina, al centro, la Madonna col Bambino circondata dalle allegorie delle Virtù. Il grande ritardo e la discontinuità dell'esecuzione della Fonte Gaia si debbono probabilmente al fatto che Jacopo era occupato anche a Lucca, di cui un documento del 1413 lo dice "habitator" e dove in quell'anno gli venivano commesse le sculture.

lunedì 13 aprile 2015

Le fonti di Siena

Passeggiare per le strade medievale di Siena osservndo le meraviglie archittettoniche e artistiche che offre la città, non è tutto. Sotto le vie di Siena si nasconde un mondo segreto e affascinante, nascosto dalla luce del sole, che può essere solo immaginato soffermandosi davanti ad una delle tante fonti sparse per la città. Se passate da Piazza del Campo, non potete non notare la cristallina acqua che zampilla dalla fonte  progettata da Jacopo della Quercia, Fonte Gaia, ma non riuscirete mai ad immaginare che sotto di essa si nasconde un dedalo di cunicoli vecchi migliaia di anni, in grado di rifornire d'acqua le fontane e i pozzi di tutta Siena. Un reticolo scavato in quello che molti senesi chiamano volgarmente tufo, che impressionò perfino Carlo V, facendogli affermare dopo una passeggiata nei bottini, che Siena era più bella sotto che sopra. Le prime fonti furono realizzate tra il XI e il XII secolo, per dare risposta alla crescente domanda di acqua di una città in piena espansione, numerosa e sempre più esigente. Alcune fonti furono realizzate, a causa della carenza di spazio, fuori dalle cinte murarie della città, ma successivamente inglobate da altre cerchie di mura più esterne, grazie alla rapida espansione di Siena. Queste fonti, sono ben diverse sia da quelle greche che da quelle romane, dato che erano utilizzate per molteplici scopi e quindi si caratterizzavano per la loro essenziale funzionalità. Le fonti erano di solito suddivise in tre vasche di raccolta, poste ad altezze differenti: quella in alto riceveva l'acqua nuova, utilizzata per bere e cucinare, che usciva direttamente dal muro, la seconda si alimentava del trabocco della prima ed era adibita ad abbeverare gli animali e nella terza si potevano lavare i panni senza rischiare di contaminare le altre. Con il supero dell'ultima vasca si potevano irrogare i campi. Col tempo molte di queste fonti furono coperte con delle volte al fine di proteggere l'acqua raccolte da intemperie, animali e sporcizie che gli abitanti del tempo erano soliti gettare giù dalle scarpate. Su alcune di esse si possono addirittura trovare delle merlature che le resero delle vere e proprie fortificazioni avanzate, dette bicocche, ovvero gli antiporti della città.

venerdì 3 aprile 2015

Una famiglia di bottinieri: i Gani

L'operaio dell'acqua, conosciuto più tardi come bottiniere e fontaniere, era il responsabile di tutti i lavori dei bottini e delle fonti, svolgendo la funzione di capocantiere con alle sue dipendenze scavatori, muratori, carpentieri ed ingegneri. Inizialmente, vista la loro affidabilità, venivano chiamati a fare questo tipo di lavoro i monaci, considerate anche le loro conoscenze tecniche nelle opera di scavo; tra i monaci più famosi salta alle cronache il nome di Agnolo, monaco cistercense, al quale fu affidata l'opera di deviare la Merse nel 1267, ma che non fu mai realizzato. Con il passare degli anni furono scelti non solo uomini di chiesa ma anche figure laiche come ingegneri ed architetti, di qui la famiglia Gani rappresenta un valido esempio, dato che Giuseppe, Giovanni e Vincenzo (padre, figlio e nipote) furono bottinieri. Se al tempo di nonno Giuseppe, per diventare bottiniere occorreva solo un po' di esperienza, al tempo del nipote Vincenzo, precisamente nel 1827, occorreva una laurea in architettura. Proprio in quel periodo si manifestarono nella città di Siena, gravi problemi di approvigionamento idrico, tanto che lo stesso Gani propose di estendere la rete dei bottini sotto la città: opera rispedita al mittente visto l'immenso costo di realizzazione. Il Gani, non contento e intenzionato a risolvere almeno in parte il problema della scarsità di acqua in città, ottenne dal comune un atto per impedire che si coltivassero i terreni in prossimità dei bottini, al fine di salvaguardare la volta dall'opera distruttiva delle radici. Allo stesso Gani poi furono affidate le opere ordinari e straordinarie per la manutenzione di molte fonti in stato di abbandono, gli fu concesso di ispezionare l'intera rete dei bottini e che non vi fossero allacciamenti irregolari. Il suo Testimone passò poi Pietro Marchetti che nel 1868 realizzò le nuove tabelle per identificare le utenze.

giovedì 2 aprile 2015

Mariano di Jacopo detto il Taccola

Mariano di Iacopo, detto il Taccola, probabilmente per il suo naso aquilino, inaugura la rinascita della cultura tecnica a Siena. Dalla frequentazione della bottega di Iacopo della Quercia egli trasse l'abilita di disegnatore che si riscontra nella sua opera. Con Taccola entra in scena la figura nuova dell'ingegnere autore di testi tecnologici illustrati dove le immagini sono concepite come strumento fondamentale di comunicazione. I temi trattati da Taccola riflettono le esigenze del territorio senese. Il problema fondamentale di Siena era rappresentato dalla difficoltà di approvvigionamento idrico. Per questo le applicazioni idrauliche costituiscono uno dei capitoli piu ricchi e originali dell'opera di Mariano. Legati alle esigenze della Repubblica Senese appaiono anche i progetti di bonifica delle paludi maremmane o i riferimenti alle attività minerarie. Nel notevole interesse di Taccola per le tecniche militari troviamo il riflesso delle costanti guerre nelle quali la ghibellina Siena fu impegnata, soprattutto contro la guelfa Firenze. Mariano offri i propri servigi all'Imperatore Sigismondo, Re d'Ungheria, che soggiorno a Siena nel 1432. Mariano di Jacopo nacque a Siena il 4 febbraio del 1381. Suo padre Iacopo era un vignaiolo. Praticamente nulla si conosce dei suoi primi anni e del suo apprendistato. Quando fu adulto, intraprese le carriere di notaio, segretario all'università, scultore, sovrintendente ai trasporti ed ingegnere idraulico. Negli anni 40 del XV secolo, si ritirò da tutti i ruoli ufficiali grazie ad una pensione statale. Si sa, inoltre, che entrò nell'ordine di San Giacomo intorno al 1453, anno nel quale probabilmente morì. Accanto ai suoi trattati di ingegneria militare, numerosi suoi scritti, rimasti inediti, sono dedicati a studi e ad applicazioni di ingegneria idraulica. Nei manoscritti di Taccola, come in altri trattati di altri ingegneri senesi a lui contemporanei, gli studi sulla regolamentazione delle acque rispecchiano l'esigenza di dotare la città di Siena, sprovvista di corsi d'acqua naturali, di un sistema di approvvigionamento di acque potabili, che ovviasse alle carenze del territorio. Soprannominato anche l'Archimede senese, il Taccola si pone agli inizi della tradizione rinascimentale ingegneristica italiana, soprattutto per la varietà delle problematiche trattate. I suoi disegni furono poi adoperati dalla quasi totalità della generazione di ingegneri del XV e del XVI secolo. Sui suoi disegni si basano inoltre gli studi del Brunelleschi che portarono alla costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore.

Operai dell'acqua

Nel medievo la vita era molto diversa da come la intendiamo oggi. Per fare un esempio, le città erano spesso sotto assedio e il rischio di invasioni era molto alto. Nel 1200 gli attacchi alle strutture idriche rappresentavano una valida strategia di attacco per indebolire e successivamente provare a conquistare una città. I punti di approvigionamento idrico erano considerati militarmente strategici e per questo difesi in maniera spasmodica. Nella città di Siena si prestò fin da subito molta attenzione alla vigilanza delle fonti e agli accessi ai bottini, sia in tempi di pace che in tempi di guerra, con vere e proprie guarnigioni di soldati atte ad evitare incursioni indesiderate in città. I tentativi storici di penetrare dentro Siena attraverso i bottini, furono due: il primo fu sventato per un vero colpo di fortuna nel 1554 quando i soldati di Carlo V cercarono di assediare la città, mentre in tempi assai più recenti, nell'estate del 1944, i partigiani del CLN locale, progettarono di liberare Siena dall'occupazione tedesca, con una insurrezione che poi non raggiunse il suo scopo. Oltre ai militari la città di Siena, vantò anche un prestigioso gruppo di tecnici chiamati operai dell'acqua, uomini profumatamente pagati dal comune per sorvegliare le fonti, i bottini e per far rispettare le leggi riguardanti la protezione dell'acqua. Uno tra i più famosi "operai dell'acqua" fu sicuramente Mariano di Jacopo detto il Taccola, capostipite dell'idraulica moderna.

martedì 31 marzo 2015

Morte nei bottini

I bottini di Siena, oltre ad essere affascinanti e unici, sono anche molto pericolosi o almeno lo erano fino al secolo scorso, dato che in questi angusti cunicoli sotterranei anche la morte osava passeggiare indisturbata. I primi a morire furono ovviamente i "guerchi", cioè i minatori che realizzavano e mantenevano i bottini praticamente ogni giorno. Per morire nei bottini, bastava davvero una piccola distrazione o un semplice momento di stanchezza e poteva accadere l'irreparabile. Pensate che il tipo di lavoro che si svolgeva sotto la città di Siena era simile a quello dei minatori  e quindi unlavoro durissimo ma soprattutto pericolosissimo, considerate poi le misure di sicurezza praticamente nulle e la totale assenza di accorgimenti igenico-sanitari. Possiamo dire senza sbagliarci che gli scavatori facevano una vera e propria vita da schiavi, lavorando anche 20 ore al giorno, senza luce e con il solo ausilio di lampade o torce a olio. Insomma la loro vita non valeva un granche (ne morivano circa 20 al mese), ma senza di loro i bottini non sarebbero mai stati realizzati. Bastava poco per morire nell'oscurità dei sotterranei di Siena e una delle cause principali  era la negligenza con cui a volte venivano compiuti i gli scavi; molto spesso infatti, si assisteva ad interi crolli di pareti, mal puntellate dai carpentieri. In questi casi si assisteva ad un vero fuggi fuggi per riemergere dalla tenebre e sfuggire alla morte. Contro la morte si poteva fare ben poco, se non raccomandarsi alla Madonna e sperare nella sua misericordia, tanto che i bottini sono disseminati di statuette in terracotta della Santa Vergine per scampare alle sventure. Lungo il percorso dei bottini, si possono notare, incise sulle pareti, delle croci dal doppio significato: il primo è quello più attendibile ovvero si pensa che avessero un potere protettivo, mentre il secondo motivo è molto più macabro e si crede possa indicare il luogo esatto in cui un minatore ha perso la vita. Una delle ultime morti avvenute nei bottini, risale al 1927 ed ha come protagonista un giovane Bersagliere del 5° reggimento in permanenza alla caserma del Carmine. Giorgio Baldaccini, questo era il suo nome, si avventurò nei sotterranei, durante un giorno di libera uscita, senza più farne ritorno. Il suo corpo fu ritrovato esanime, il giorno successivo dopo che delle potenti idrovore prosciugarono il pozzo della Diana per far emergere il cadavere annegato. Si crede che il giovane si sia perso nel dedalo dei bottini e che esaurita la torcia abbia proseguito a tentoni fino a precipitare nel pozzo della Diana per incontrare la morte.

giovedì 26 marzo 2015

Streghe di Siena

Verso il 1200 a Siena, ma anche in molte altre città europee, si era poco propensi allo scherzo ed alla burla. Non si accettavano di buon grado i ciarlatani, i girovaghi, i maghi e nemmeno a dirlo le streghe che, come tutti noi sappiamo, sono state perseguitate duramente per molti anni. Le leggi erano dure ed inflessibili contro i trasgressori, anche per i reati relativi alle acque: tanto che venivano comminate pene durissime a chiunque fosse stato beccato a sporcare l'acqua dei bottini o delle fonti. Era un reato usare recipienti sporchi per attingere acqua dalle fonti, era vietato gettarvi rifiuti, introdursi illegalmente nei bottini e sprecare l'acqua; pena multe salatissime per i signori della città di Siena o pene corporali per i popolani (frustate alle donne e tiri di fune in Piazza del Campo per gli uomini). Insomma con l'acqua di Siena non si scherzava poi tanto, infatti, in caso di assedio della città chiunque fosse stato trovato nei bottini sarebbe stato subito condannato a morte. Un caso simile successe veramente a Siena nel 1262 sulla pelle di una donna (fiorentina?) che fu accusata davanti alla Santa Inquisizione di essere una strega che stava avvelenando l'acqua della città. Ovviamente la povera donna non era certo una strega, ma il caso volle che non seppe in alcun modo spiegare cosa facesse, in quel preciso istante, nei pressi dei bottini e così fini scorticata viva e bruciata in Piazza del Campo, come monito per tutti i cittadini. Ma non furono solo le donne ad essere usate come capro espiatorio, la stessa sorte toccò anche a molti pellegrini che passando da Siena tramite la via Francigena, venivano accusati di sabotare le acque della città.

lunedì 23 marzo 2015

Fuggisole

Chi conosce la storia dei bottini e le sue leggende conoscerà sicuramente le storie sui mitologici personaggi che li abitavano e abitano, perchè no, il sottosuolo senese, ovvero i "fuggisole" e gli "omaccioli". Queste creature, esistevano per lo più nella mente  e nella fantasia dei lavoratori dei bottini che abbiamo imparato a conoscere come "guerchi".Nei bottini, infatti, scarseggiava la luce, se non quella prodotta dalle candele e dai lumini a olio, quindi l'oscurità mista all'ignoranza spesso e volentieri contribuiva ad alimentare le superstizioni. Le creature di cui i lavoratori dei bottini avevano più paura erano i "fuggisole"e gli "omiccioli" che li facevano fuggire urlando a gambe levate da sotto terra. Gli "omiccioli" avevano le sembianze di piccoli uomini e si limitavano a danzare e a mettere allegria a chiunque li incontrasse, come una sorta di pagliacci del buio. Per i "fuggisole" invece il discorso è molto diverso dato che avrebbero avuto il potere di avvelenare le persone soffiandoli addosso. I "fuggisole" comparivano all'improvviso come lampi di luce simile ad un sole, per poi spegnersi all'improvviso. Si pensa che questi fenomeni altro non fossero che la conseguenza delle esalazioni di gas chiusi nella terra e che se liberati provocassero un bagliore simile a quello dei fuochi fatui dei cimiteri. Ad ogni modo, lavorare sotto Siena doveva essere davvero spaventoso anche senza questi personaggi fantastici, per questo i guerchi si facevano coraggio bevendo vino per esorcizzare la paura. Vino con il quale venivano pagati e che forse alterava il loro senso della realtà.

domenica 8 marzo 2015

Minatori e guerchi

Lavorare in quei cunicoli era tremendo e lo era ancor di più in estate, dato che la forte differenza di temperatura tra interno ed esterno poteva causare non pochi problemi agli operai. Gli scavatori che si trovavano a lavorare nei bottini erano sottoposti a condizioni estreme, non solo di temperatura ma anche di fatica, visibilità e sicurezza. Chi lavorava nel sottosuolo senese veniva comunemente chiamato, dalla gente di sopra "guerco", termine che può essere spiegato in due differenti modi: i primo è quello più semplice, e deriva dal fatto che gli operai dopo aver passato molte ore in condizioni di scarsa visibilità, si ritrovavano con la vista talmente annebbiata da non vedere più niente, tanto che gli occhi quasi gli si chiudevano alla luce del sole, da cui la parola "guerchi" che altro non vuol dire che ciechi; l'altra spiegazione invece deriva da una italianizzazione della parola tedesca "werk" ovvero lavoro, che potrebbero aver fatto loro gli abitanti della Siena di allora. Come dicevo in apertura, lavorare nei cunicoli sotto Siena era duro e pericoloso, tanto che in molti ci lasciarono la vita. La suddivisione dei lavori sotto Siena prevedeva oltre gli scavatori o "guerchi", anche carpentieri, muratori, vetturali e le donne usate come staffette per i rifornimenti di vivande, dato che molto spessp gli uomini non potevano risalire in superfice. In tutta questa moltitudine di mestieri e lavori, si potevano incontrare anche operai specializzati come i minatori di Massa e Montieri che, a differenza dei guerchi, venivano ben pagati. 

martedì 3 marzo 2015

La tassa del dado

Fu dal 1400 che si iniziò la registrazione degli allacciamenti privati ai bottini, dato che spettava ai cittadini pagare le spese di scavo. Infatti, questa era l'unica forma di pagamento che il Comune di Siena pretendeva da chi si collegava ai bottini; fino al 1500 a Siena non vi era traccia di nessuna tassa per l'erogazione dell'acqua che era quindi gratuita per tutti. Soltanto a partire dal 1590 i cittadini con allacciamenti privati ai bottini dovettero iniziare a pagare il comune per il servizio dell'acqua, tassa da cui erano esentati i religiosi. Nel secolo successivo, ovvero nel 1600, il numero di allacciamenti crebbe in maniera esponenziale e siccome la prevenzione contro ogni forma di abusivismo non bastava, nel 1691 la magistratura della Biccherna impose a tutti coloro che avevano pozzi di non intorbidirne le acque, di non deviarne il corso e di non prenderne mai più del dovuto. Si passò poi ad un altra imposizione che prevedeva la chiusura di tutti i collegamenti con i bottini a meno che non si installasse, nel punto di congiunzione fra il gorello del bottino maestro e il proprio condotto, un misuratore per la regolazione della portata regolata dal magistrato della Biccherna. Tale regolatore di flusso, altro non era che un semplice foro su una lastra di bronzo, che lasciava passare la portata prefissata di 344 litri/giorno ovvero 8 barili. In questo modo nacque la prima tassa sulle acque, conosciuta all'epoca come  "il dado" e che rimase in voga fino al XXI secolo. In pratica gli utenti che volevano beneficiare dell'acqua nella loro cisterna, avrebbero dovuto presentarsi ad un addetto del comune con una lastra affinche venisse forata nel modo corretto e poi fissata dal capomastro comunale tra l'innesto del gorello e il condotto privato. Oltre a tutto questo erano gli stessi utenti che dovevano mantenere in funzione e pulita la deviazione, dato che il calcare poteva limitare fortemente il flusso di acqua. Bisogna sempre ricordare che i bottini avevano una funzione pubblica e non privata, quindi in periodi di forte siccità il comune poteva chiudere i condotti privati per alimentare le fonti della città e com'è facile capire queste interruzione generavano spesso violente proteste da parte dei cittadini. Non bisogna scordare che in quel periodo la città era in forte crescita e lo erano anche i bisogni dei suoi cittadini, così potevamo avere cittadini che nella stessa fonte lavavano pellami, budella di animali, facevano abbeverare cavalli. Insomma le acque bianche e quelle nere si mischiavano tra di loro e in caso di infrazione il dado poteva essere turato con un dito di creta.

martedì 10 febbraio 2015

Pirati dell'acqua

Solo nel 1400 la rete dei bottini senesi raggiunse la sua massima espansione, alimentando sia le fonti pubbliche sia le cisterne private. Per far si che l'acqua non mancasse mai ne alle fonti ne alle cisterne, fu istituita una figura di vigilanza detta "il bottiniere", il quale aveva il compito di vigilare sulla portata idrica dei bottini, scongiurando furti di acqua da parte dei cittadini. A seguito di una segnalazione di furto idrico, da parte del bottiniere, si poteva arrivare anche alla sospensione del servizio di approvigionamento. Le regole a quel tempo erano molto severe e si privilegiava sempre e comunque il bisogno pubblico su quello privato, quindi in caso di carenza di acqua nei bottini, si poteva sospendere la distribuzione privata. Queste regole non furono create per caso, dato che nel 1364 molti cittadini privati iniziarono ad abusare delle loro concessioni, facendo scarseggiare l'acqua in tutta la città, e ricevendo salate sanzioni per i loro abusi. Le autorità senesi erano molto preoccupate per i continui furti di acqua praticate nei bottini per l'approvigionamento idrico o per la pulizia degli abiti, pratica questa che poteva inquinare e compromettere la salubrità delle acque. Si dovette aspettare il 1410 perchè il comune prendesse la decisione di chiudere in maniera coatta le aperture abusive, senza però trarne risultato date che gli allacciamenti illegali non si arrestarono. Lo scopo dei bottini infatti non era quello di servire le abitazioni private, ma quello di approvigionare le fonti cittadine. Purtroppo l'accesso ai bottini era molto semplice da realizzare, dato che bastava scavare nella morbida sabbia compatta del sottosuolo senese e deviare il corso del bottino, con una piccola ramificazione, fino alla cantina della propria abitazione. Queste azioni illegali continuarono almeno fino al 1500 nonostante la figura del povero bottiniere che non riusciva a combattere il malcostume.  Solo nel 1589 la biccherna emise un bando per imporre ai proprietari dei pozzi alimentati dai bottini, l'adozione di un sistema di trabocco per far ritornare l'acqua in eccesso nella rete. Tale sistema prese il nome di "tornaindietro" e fu uno delle tante invenzioni di un popolo che ha sempre dovuto fare i conti con la scarsità idrica.

domenica 8 febbraio 2015

Pozzo della Diana e la sua storia

Il pozzo della Diana, gioia e tormento dei frati Carmelitani e speranza di approvigionamento idrico per la città, visse glorie alterne. Infatti, dopo le cure amorevoli dei frati Carmelitani, il pozzo cambierà padroni e dopo secoli di attenzioni e manutenzioni, i frati furono costretti a  lasciare il convento per effetto delle leggi napoleoniche tra il 1808 e 1810, potendo tornare solo durante la restaurazione, per poi essere successivamente allontanati nel 1861, quando il convento fu convertito in caserma. Nel corso del 1800 alcune misurazioni effettuate dai corpi militari, stanziati a Siena, descrivevano il pozzo della Diana come un pozzo profondo 45 metri, almeno così si raccontava in una lettera al Sindaco di Siena nel 1882 dal 55° reggimento. Nel 1887 a seguito delle operazioni di spurgo del pozzo, eseguito dal genio militare, al Sindaco fu inviata una missiva dal tecnico Barsotti, incaricato dal comune per seguire i lavori, dalla quale si possono estrarre interessanti informazioni: pozzo a gola rettangolare in muratura, di forma circolare e scavato nel tufo per una profondità esatta di 48 metri e 70 cm. Il pozzo è praticamente asciutto per i primi 40 metri di profondità, da qui in poi e per i successivi 8 metri le pareti del pozzo trasudano acqua. A 5 metri dal parapetto del pozzo parte un piccola galleria in direzione nord, che porta tramite una scala al convento dei frati. Quando i militari lasciarono il convento e durante la ristrutturazione per convertire l'edificio a sede universitaria, il pozzo fu riempito con materiali di risulta.

venerdì 23 gennaio 2015

Il Convento del Carmine

Convento realizzato alla fine del XIII secolo a ridosso della parte più antica e più alta della città di Siena, conosciuta anche come il rione di Castelsenio. L’edificio, fin dall’origine, è stato utilizzato come convento dei Frati Carmelitani Scalzi, un ordine mendicante sorto pochi anni prima in Terra Santa. Nel corso di oltre sette secoli l’edificio è stato sempre abitato dai Frati Carmelitani Scalzi ad eccezione di alcune parentesi storiche, allorquando, prima il Granducato di Toscana, poi Napoleone Bonaparte ed in seguito il neo costituito Regno di Italia nel 1860 hanno sottratto la proprietà ai Frati. Ogni volta, a seguito di tali soppressioni statali, i Padri hanno riacquistato il convento per poter continuare a svolgervi l’attività religiosa. Accanto al convento vi è la chiesa di San Niccolò del XII secolo. L’edificio, nel suo complesso, ha mantenuto la stessa impostazione architettonica originaria e, anche al suo interno, vi sono testimonianze dirette di tale impostazione. Nello spazio aperto posto nel retro del convento, è stata ritrovata l’entrata del famoso “pozzo della Diana”.  Si tratta di un pozzo molto profondo e molto antico il cui scavo è stato avviato già nel XII secolo dagli allora abitanti della zona per tentare di trovare l’acqua del mitico fiume della Diana. La ricerca spasmodica dell’acqua è stata una delle fissazioni principali dei senesi nel periodo medievale. In effetti la scarsa disponibilità di questa risorsa ha fortemente condizionato anche i destini storici della città ed è per questo che il Comune di Siena ed i suoi cittadini hanno ricercato questa preziosa risorsa nel corso dei secoli. Senza più alcun dubbio gli storici hanno individuato in tale scavo il pozzo che doveva portare ad attingere acqua dal mitico fiume sotterraneo della Diana. Non a caso, la via dove apre i suoi battenti “il Chiostro del Carmine” si chiama Via della Diana.
Le cronache del Trecento (in particolare quelle di Agnolo di Tura del Grasso e del Bisdomini) pongono tra il 1157 e il 1174 l’escavazione del pozzo della Diana nell’orto del convento dei Carmelitani, suffragando la presenza dei frati in questa zona della città nella metà del XII secolo. La datazione è però da rivedere perché lo scavo del pozzo della Diana fu portato a conclusione nel primo trentennio del XIV secolo, come attesta una delibera del Consiglio Generale che destinava una somma di denaro a favore dei frati del Carmine "per convertire nel uopera, fazzione et spedizione" d’un loro pozzo, già cominciato a scavare

Il pozzo della Diana

Secondo alcune cronache del trecento, nel 1176 i frati del Conventodel Carmine avrebbero scavato nei pressi di Castelvecchio, riuscendo a trovare una ricca vena d'acqua che avrebbe legittimato ulteriori ricerche. I fraticelli, grazie alla loro opera di escavazione, didedero il via ad un lavoro mastodontico che salvò Siena dalla siccità. Basti pensare che il pozzo scavato dai Carmelitani e conosciuto come il pozzo della Diana, stando alle cronache del tempo, era profondo più di 40 metri. I lavori iniziarono appena in città si diffuse la voce della presenza di una ricca vena d'acqua proprio sotto i lori piedi. I frati non se lo fecero ripetere due volte e vista la loro penuria d'acqua, iniziarono subito le opere di scavo arrivando a raggiungere le 80 braccia di profondità, ma già a 60 braccia il pozzo dette i primi segni di presenza di acqua. A quel punto i frati entusiasti della loro scoperta, realizzarono un attraversamento fino a via di Maremma e da li scavarono per altre 6 braccia riuscendo a trovare la vena tanto desiderata. Le cronache raccontano che il giorno seguente nel pozzo della Diana, i frati trovarono una grande quantità di acqua e dal sapore buonissimo.  

mercoledì 21 gennaio 2015

Il fiume che non c'è

Vide un'ombra sollevare il mento con aria interrogativa, come sono soliti fare i ciechi e la interrogò. La penitente rispose di essere stata senese, e di fare ammenda delle sue colpe. Avrete capito che si tratta del tredicesimo canto del Purgatorio ed a rispondere è Sapia, una nobil donna senese che definì i suoi concittadini:
...gente vana
che spera in Talamone, e perderagli
più di speranza ch’a trovar la Diana...”


Il giudizio sprezzante e irriverente che il sommo poeta da dei senesi per bocca di Sapia, è ben impresso, ancora oggi, nella mente di ogni abitante di Siena, e si somma ad uno dei tanti motivi per qui i senesi non sopportano i cugini di Firenze. Con questa terzina, forse la più odiata da tutta Siena, Dante fissa per sempre l'eco di una leggenda tanto straordinaria e folle, da aver superato le mura cittadine già nel 1200. A Siena infatti, ormai da diversi secoli, si era diffusa in modo capillare la credenza e l'ossessione che sotto la città scorresse un fiume ricco di acque e portatore di prosperità per tutta Siena. Tra le mura di Siena, almeno fino al 1300, il comune finanziava, con spese enormi, ogni opera di ogni cittadino che si prendesse la briga di scavare dei pozzi al fine di trovare dell'acqua. Questa impresa di esplorazione del sottosuolo senese, non fu per niente vana, dato che valse a recuperare grandi quantità di acqua per lo sviluppo e la sopravvivenza di Siena, garantendo una fitta rete di cunicoli sotterranei che diedero vita ad un vero e proprio acquedotto. Ovviamente, il mitico fiume sotterraneo fu cercato con ossessiva meticolosità, senza però mai trovarlo, anche se qualcuno ancora oggi sostiene di poterlo sentire scorrere sotto la città nelle ore notturne. Il nome Diana indicava un'abbondante vena d'acqua che avrebbe dovuto scorrere sotto il poggio di Castelvecchio, confluendo con il torrente Tressa. La Diana quindi risulta esistere più nell'immaginazione dei senesi che non nel sottosuolo della città. Il fiume mitologico battezzato Diana, come la dea cacciatrice e al tempo stesso protettrice della creazione, indica un legame privato e profondo tra la città, i suoi cittadini e il bisogno di acqua che li ha caratterizzati nei secoli.

lunedì 19 gennaio 2015

Scaviamo i pozzi!

Il periodo dell'anno che i senesi amavano meno, era sicuramente quello estivo. Il solo corso d'acqua che lambiva marginalmente le terre senesi era il piccolo torrente Merse, sempre secco nei mesi caldi e non certo di facile fruibilità. In città scommetto che in molti rimpiangevano amaramente i 70 chilometri di strade che separavano Siena dall'unico grande fiume toscano, ovvero l'Arno. Pieni di rimpianti per essere stati orfani di un grande fiume, i cittadini di Siena, iniziarono in modo caparbio e testardo a fare pozzi ovunque sperando che prima o poi qualche vena d'acqua saltasse fuori. In questo modo avrebbero potuto dimostrare ai cugini fiorentini, non senza orgoglio, che anche Siena possedeva il suo fiume. I senesi impararono presto che sorgere sulla cima di una collina era l'ideale per difendere la città dai nemici, leggisi Firenze, e che era molto meno ideale per dissetarsi. In epoca medioevale, l'acqua era il volano dell'economia e anche della vita: l'acqua era una fonte di energia, un liquido primario, un simbolo di purezza che garantiva crescita e prosperità. Un bene imprescindibile che i senesi seppero garantire fino ai giorni nostri attraverso una articolata rete di tunnel sotterranei.
Tutte le più grandi città sono sorte vicino a dei fiumi; regola questa che non è valsa per Siena, edificata sulla cima di tre colline in una posizione meno malsana, meno soggetta ad esondazioni e sicuramente più facile da difendere. Una scelta questa sicuramente diversa da quelle delle altre città, dettata da ragioni strategiche e militari ha scapito di quelle urbanistiche, ma che comunque non ha evitato a Siena di crescere e prosperare nei secoli, grazie all'ingegno dei suoi abitanti che hanno strappato l'acqua dalle profondità della terra per portarla in superficie tramite le fonti.
Una delle motivazioni che stanno alla base del divario economico, urbanistico e politico tra la Siena e la Firenze di epoca medioevale, va appunto ricercato nella mancanza di una fonte idrica adatta alle esigenze della città della balzana. Infatti nonostante gli sforzi che hanno portato alla realizzazione di bottini e fonti, molte attività artigianali furono costrette ad abbandonare le mura cittadine e a trasferirsi verso centri bagnati da fiumi.