martedì 14 aprile 2015

Jacopo della Quercia

Figlio di un orafo e intagliatore di legno, trascorse l’infanzia a Siena dove, a contatto con le numerose botteghe di orafi e scultori, imparò l’arte della scultura della pietra, del legno, dell’oro e del bronzo. Nel 1387 si trasferì a Lucca con la famiglia distinguendosi subito per l’indole irrequieta e rissosa. Avendo percosso a sangue un cittadino lucchese sulla porta della Cattedrale, fu denunciato, bandito dal territorio e costretto a fuggire a Firenze dove, qualche anno dopo, partecipò al concorso per la costruzione della seconda porta del Battistero. Così detto probabilmente dal soprannome della madre, la sua formazione è estremamente dibattuta tra chi ritiene che abbia compiuto il suo tirocinio presso i fratelli Dalle Masegne a Bologna e chi lo vede, in Siena, intento a rimeditare la grande lezione di Nicola e di Giovanni Pisano. Sempre in viaggio tra Siena, Lucca, Bologna e Firenze, disseminò il suo cammino artistico di continui contrasti con i committenti, subendo denunce, solleciti, intimidazioni e riduzioni dei compensi per mancato rispetto dei termini di consegna e per mancata o parziale esecuzione delle opere commissionate. La sua formazione si basava sul linguaggio del gotico senese, che sfrondò dagli effetti più aggraziati e, in certo senso, cerebrali. Assimilò le più avanzate ricerche fiorentine, della scultura borgognona e il retaggio classico, che reinterpretò con originalità, dando origine a opere virili e concrete, dove sotto le complicate pieghe del panneggio gotico si nascondono corpi robusti e solidi. Già nei rilievi della Fonte Gaia, a fronte di un impianto generale, consono alla tradizione, si rileva una straordinaria libertà compositiva e un'innovativa vitalità dei rilievi. Nel 1406-1407 Jacopo eseguì il monumento funebre alla giovane moglie di Paolo Guinigi, signore di Lucca, Ilaria del Carretto, morta di parto nel 1405. Distaccandosi dai complicati, e talvolta macchinosi, complessi funerari del Trecento, l'opera, è situata nella Cattedrale di San Martino di Lucca, consiste di un sarcofago dai fianchi classicamente decorati, sul cui coperchio giace l'immagine soavissima della defunta. Una lunga e travagliata gestazione ebbe un'opera che fu tanto ammirata e famosa da far attribuire all'artista l'appellativo, spesso citato dagli antichi scrittori, di "Jacopo della Fonte". È la fonte per il Campo di Siena, detta, per la gioia che procurò l'arrivo dell'acqua in quel luogo, la Fonte Gaia. Essa gli fu allogata dal Comune nel 1409, ma la sua esecuzione si effettuò prevalentemente dal 1414 al 1419, quando venne inaugurata.  Ispirandosi alla struttura tradizionale delle fonti pubbliche senesi del Medioevo, e privandola della copertura a volte e delle sovrastrutture, Jacopo concepì la sua a guisa di un bacino rettangolare circondato da tre parti da un alto parapetto, di cui i due lati corti a sagoma discendente recano a bassorilievo la Creazione di Adamo e la Cacciata dall'Eden e, sui pilastri anteriori, due statue femminili rappresentanti, secondo la tradizione, Rea Silvia e Acca Larenzia, in omaggio alle mitiche origini romane della città, mentre in quello più lungo domina, al centro, la Madonna col Bambino circondata dalle allegorie delle Virtù. Il grande ritardo e la discontinuità dell'esecuzione della Fonte Gaia si debbono probabilmente al fatto che Jacopo era occupato anche a Lucca, di cui un documento del 1413 lo dice "habitator" e dove in quell'anno gli venivano commesse le sculture.

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