venerdì 23 gennaio 2015

Il Convento del Carmine

Convento realizzato alla fine del XIII secolo a ridosso della parte più antica e più alta della città di Siena, conosciuta anche come il rione di Castelsenio. L’edificio, fin dall’origine, è stato utilizzato come convento dei Frati Carmelitani Scalzi, un ordine mendicante sorto pochi anni prima in Terra Santa. Nel corso di oltre sette secoli l’edificio è stato sempre abitato dai Frati Carmelitani Scalzi ad eccezione di alcune parentesi storiche, allorquando, prima il Granducato di Toscana, poi Napoleone Bonaparte ed in seguito il neo costituito Regno di Italia nel 1860 hanno sottratto la proprietà ai Frati. Ogni volta, a seguito di tali soppressioni statali, i Padri hanno riacquistato il convento per poter continuare a svolgervi l’attività religiosa. Accanto al convento vi è la chiesa di San Niccolò del XII secolo. L’edificio, nel suo complesso, ha mantenuto la stessa impostazione architettonica originaria e, anche al suo interno, vi sono testimonianze dirette di tale impostazione. Nello spazio aperto posto nel retro del convento, è stata ritrovata l’entrata del famoso “pozzo della Diana”.  Si tratta di un pozzo molto profondo e molto antico il cui scavo è stato avviato già nel XII secolo dagli allora abitanti della zona per tentare di trovare l’acqua del mitico fiume della Diana. La ricerca spasmodica dell’acqua è stata una delle fissazioni principali dei senesi nel periodo medievale. In effetti la scarsa disponibilità di questa risorsa ha fortemente condizionato anche i destini storici della città ed è per questo che il Comune di Siena ed i suoi cittadini hanno ricercato questa preziosa risorsa nel corso dei secoli. Senza più alcun dubbio gli storici hanno individuato in tale scavo il pozzo che doveva portare ad attingere acqua dal mitico fiume sotterraneo della Diana. Non a caso, la via dove apre i suoi battenti “il Chiostro del Carmine” si chiama Via della Diana.
Le cronache del Trecento (in particolare quelle di Agnolo di Tura del Grasso e del Bisdomini) pongono tra il 1157 e il 1174 l’escavazione del pozzo della Diana nell’orto del convento dei Carmelitani, suffragando la presenza dei frati in questa zona della città nella metà del XII secolo. La datazione è però da rivedere perché lo scavo del pozzo della Diana fu portato a conclusione nel primo trentennio del XIV secolo, come attesta una delibera del Consiglio Generale che destinava una somma di denaro a favore dei frati del Carmine "per convertire nel uopera, fazzione et spedizione" d’un loro pozzo, già cominciato a scavare

Il pozzo della Diana

Secondo alcune cronache del trecento, nel 1176 i frati del Conventodel Carmine avrebbero scavato nei pressi di Castelvecchio, riuscendo a trovare una ricca vena d'acqua che avrebbe legittimato ulteriori ricerche. I fraticelli, grazie alla loro opera di escavazione, didedero il via ad un lavoro mastodontico che salvò Siena dalla siccità. Basti pensare che il pozzo scavato dai Carmelitani e conosciuto come il pozzo della Diana, stando alle cronache del tempo, era profondo più di 40 metri. I lavori iniziarono appena in città si diffuse la voce della presenza di una ricca vena d'acqua proprio sotto i lori piedi. I frati non se lo fecero ripetere due volte e vista la loro penuria d'acqua, iniziarono subito le opere di scavo arrivando a raggiungere le 80 braccia di profondità, ma già a 60 braccia il pozzo dette i primi segni di presenza di acqua. A quel punto i frati entusiasti della loro scoperta, realizzarono un attraversamento fino a via di Maremma e da li scavarono per altre 6 braccia riuscendo a trovare la vena tanto desiderata. Le cronache raccontano che il giorno seguente nel pozzo della Diana, i frati trovarono una grande quantità di acqua e dal sapore buonissimo.  

mercoledì 21 gennaio 2015

Il fiume che non c'è

Vide un'ombra sollevare il mento con aria interrogativa, come sono soliti fare i ciechi e la interrogò. La penitente rispose di essere stata senese, e di fare ammenda delle sue colpe. Avrete capito che si tratta del tredicesimo canto del Purgatorio ed a rispondere è Sapia, una nobil donna senese che definì i suoi concittadini:
...gente vana
che spera in Talamone, e perderagli
più di speranza ch’a trovar la Diana...”


Il giudizio sprezzante e irriverente che il sommo poeta da dei senesi per bocca di Sapia, è ben impresso, ancora oggi, nella mente di ogni abitante di Siena, e si somma ad uno dei tanti motivi per qui i senesi non sopportano i cugini di Firenze. Con questa terzina, forse la più odiata da tutta Siena, Dante fissa per sempre l'eco di una leggenda tanto straordinaria e folle, da aver superato le mura cittadine già nel 1200. A Siena infatti, ormai da diversi secoli, si era diffusa in modo capillare la credenza e l'ossessione che sotto la città scorresse un fiume ricco di acque e portatore di prosperità per tutta Siena. Tra le mura di Siena, almeno fino al 1300, il comune finanziava, con spese enormi, ogni opera di ogni cittadino che si prendesse la briga di scavare dei pozzi al fine di trovare dell'acqua. Questa impresa di esplorazione del sottosuolo senese, non fu per niente vana, dato che valse a recuperare grandi quantità di acqua per lo sviluppo e la sopravvivenza di Siena, garantendo una fitta rete di cunicoli sotterranei che diedero vita ad un vero e proprio acquedotto. Ovviamente, il mitico fiume sotterraneo fu cercato con ossessiva meticolosità, senza però mai trovarlo, anche se qualcuno ancora oggi sostiene di poterlo sentire scorrere sotto la città nelle ore notturne. Il nome Diana indicava un'abbondante vena d'acqua che avrebbe dovuto scorrere sotto il poggio di Castelvecchio, confluendo con il torrente Tressa. La Diana quindi risulta esistere più nell'immaginazione dei senesi che non nel sottosuolo della città. Il fiume mitologico battezzato Diana, come la dea cacciatrice e al tempo stesso protettrice della creazione, indica un legame privato e profondo tra la città, i suoi cittadini e il bisogno di acqua che li ha caratterizzati nei secoli.

lunedì 19 gennaio 2015

Scaviamo i pozzi!

Il periodo dell'anno che i senesi amavano meno, era sicuramente quello estivo. Il solo corso d'acqua che lambiva marginalmente le terre senesi era il piccolo torrente Merse, sempre secco nei mesi caldi e non certo di facile fruibilità. In città scommetto che in molti rimpiangevano amaramente i 70 chilometri di strade che separavano Siena dall'unico grande fiume toscano, ovvero l'Arno. Pieni di rimpianti per essere stati orfani di un grande fiume, i cittadini di Siena, iniziarono in modo caparbio e testardo a fare pozzi ovunque sperando che prima o poi qualche vena d'acqua saltasse fuori. In questo modo avrebbero potuto dimostrare ai cugini fiorentini, non senza orgoglio, che anche Siena possedeva il suo fiume. I senesi impararono presto che sorgere sulla cima di una collina era l'ideale per difendere la città dai nemici, leggisi Firenze, e che era molto meno ideale per dissetarsi. In epoca medioevale, l'acqua era il volano dell'economia e anche della vita: l'acqua era una fonte di energia, un liquido primario, un simbolo di purezza che garantiva crescita e prosperità. Un bene imprescindibile che i senesi seppero garantire fino ai giorni nostri attraverso una articolata rete di tunnel sotterranei.
Tutte le più grandi città sono sorte vicino a dei fiumi; regola questa che non è valsa per Siena, edificata sulla cima di tre colline in una posizione meno malsana, meno soggetta ad esondazioni e sicuramente più facile da difendere. Una scelta questa sicuramente diversa da quelle delle altre città, dettata da ragioni strategiche e militari ha scapito di quelle urbanistiche, ma che comunque non ha evitato a Siena di crescere e prosperare nei secoli, grazie all'ingegno dei suoi abitanti che hanno strappato l'acqua dalle profondità della terra per portarla in superficie tramite le fonti.
Una delle motivazioni che stanno alla base del divario economico, urbanistico e politico tra la Siena e la Firenze di epoca medioevale, va appunto ricercato nella mancanza di una fonte idrica adatta alle esigenze della città della balzana. Infatti nonostante gli sforzi che hanno portato alla realizzazione di bottini e fonti, molte attività artigianali furono costrette ad abbandonare le mura cittadine e a trasferirsi verso centri bagnati da fiumi.