martedì 31 marzo 2015

Morte nei bottini

I bottini di Siena, oltre ad essere affascinanti e unici, sono anche molto pericolosi o almeno lo erano fino al secolo scorso, dato che in questi angusti cunicoli sotterranei anche la morte osava passeggiare indisturbata. I primi a morire furono ovviamente i "guerchi", cioè i minatori che realizzavano e mantenevano i bottini praticamente ogni giorno. Per morire nei bottini, bastava davvero una piccola distrazione o un semplice momento di stanchezza e poteva accadere l'irreparabile. Pensate che il tipo di lavoro che si svolgeva sotto la città di Siena era simile a quello dei minatori  e quindi unlavoro durissimo ma soprattutto pericolosissimo, considerate poi le misure di sicurezza praticamente nulle e la totale assenza di accorgimenti igenico-sanitari. Possiamo dire senza sbagliarci che gli scavatori facevano una vera e propria vita da schiavi, lavorando anche 20 ore al giorno, senza luce e con il solo ausilio di lampade o torce a olio. Insomma la loro vita non valeva un granche (ne morivano circa 20 al mese), ma senza di loro i bottini non sarebbero mai stati realizzati. Bastava poco per morire nell'oscurità dei sotterranei di Siena e una delle cause principali  era la negligenza con cui a volte venivano compiuti i gli scavi; molto spesso infatti, si assisteva ad interi crolli di pareti, mal puntellate dai carpentieri. In questi casi si assisteva ad un vero fuggi fuggi per riemergere dalla tenebre e sfuggire alla morte. Contro la morte si poteva fare ben poco, se non raccomandarsi alla Madonna e sperare nella sua misericordia, tanto che i bottini sono disseminati di statuette in terracotta della Santa Vergine per scampare alle sventure. Lungo il percorso dei bottini, si possono notare, incise sulle pareti, delle croci dal doppio significato: il primo è quello più attendibile ovvero si pensa che avessero un potere protettivo, mentre il secondo motivo è molto più macabro e si crede possa indicare il luogo esatto in cui un minatore ha perso la vita. Una delle ultime morti avvenute nei bottini, risale al 1927 ed ha come protagonista un giovane Bersagliere del 5° reggimento in permanenza alla caserma del Carmine. Giorgio Baldaccini, questo era il suo nome, si avventurò nei sotterranei, durante un giorno di libera uscita, senza più farne ritorno. Il suo corpo fu ritrovato esanime, il giorno successivo dopo che delle potenti idrovore prosciugarono il pozzo della Diana per far emergere il cadavere annegato. Si crede che il giovane si sia perso nel dedalo dei bottini e che esaurita la torcia abbia proseguito a tentoni fino a precipitare nel pozzo della Diana per incontrare la morte.

giovedì 26 marzo 2015

Streghe di Siena

Verso il 1200 a Siena, ma anche in molte altre città europee, si era poco propensi allo scherzo ed alla burla. Non si accettavano di buon grado i ciarlatani, i girovaghi, i maghi e nemmeno a dirlo le streghe che, come tutti noi sappiamo, sono state perseguitate duramente per molti anni. Le leggi erano dure ed inflessibili contro i trasgressori, anche per i reati relativi alle acque: tanto che venivano comminate pene durissime a chiunque fosse stato beccato a sporcare l'acqua dei bottini o delle fonti. Era un reato usare recipienti sporchi per attingere acqua dalle fonti, era vietato gettarvi rifiuti, introdursi illegalmente nei bottini e sprecare l'acqua; pena multe salatissime per i signori della città di Siena o pene corporali per i popolani (frustate alle donne e tiri di fune in Piazza del Campo per gli uomini). Insomma con l'acqua di Siena non si scherzava poi tanto, infatti, in caso di assedio della città chiunque fosse stato trovato nei bottini sarebbe stato subito condannato a morte. Un caso simile successe veramente a Siena nel 1262 sulla pelle di una donna (fiorentina?) che fu accusata davanti alla Santa Inquisizione di essere una strega che stava avvelenando l'acqua della città. Ovviamente la povera donna non era certo una strega, ma il caso volle che non seppe in alcun modo spiegare cosa facesse, in quel preciso istante, nei pressi dei bottini e così fini scorticata viva e bruciata in Piazza del Campo, come monito per tutti i cittadini. Ma non furono solo le donne ad essere usate come capro espiatorio, la stessa sorte toccò anche a molti pellegrini che passando da Siena tramite la via Francigena, venivano accusati di sabotare le acque della città.

lunedì 23 marzo 2015

Fuggisole

Chi conosce la storia dei bottini e le sue leggende conoscerà sicuramente le storie sui mitologici personaggi che li abitavano e abitano, perchè no, il sottosuolo senese, ovvero i "fuggisole" e gli "omaccioli". Queste creature, esistevano per lo più nella mente  e nella fantasia dei lavoratori dei bottini che abbiamo imparato a conoscere come "guerchi".Nei bottini, infatti, scarseggiava la luce, se non quella prodotta dalle candele e dai lumini a olio, quindi l'oscurità mista all'ignoranza spesso e volentieri contribuiva ad alimentare le superstizioni. Le creature di cui i lavoratori dei bottini avevano più paura erano i "fuggisole"e gli "omiccioli" che li facevano fuggire urlando a gambe levate da sotto terra. Gli "omiccioli" avevano le sembianze di piccoli uomini e si limitavano a danzare e a mettere allegria a chiunque li incontrasse, come una sorta di pagliacci del buio. Per i "fuggisole" invece il discorso è molto diverso dato che avrebbero avuto il potere di avvelenare le persone soffiandoli addosso. I "fuggisole" comparivano all'improvviso come lampi di luce simile ad un sole, per poi spegnersi all'improvviso. Si pensa che questi fenomeni altro non fossero che la conseguenza delle esalazioni di gas chiusi nella terra e che se liberati provocassero un bagliore simile a quello dei fuochi fatui dei cimiteri. Ad ogni modo, lavorare sotto Siena doveva essere davvero spaventoso anche senza questi personaggi fantastici, per questo i guerchi si facevano coraggio bevendo vino per esorcizzare la paura. Vino con il quale venivano pagati e che forse alterava il loro senso della realtà.

domenica 8 marzo 2015

Minatori e guerchi

Lavorare in quei cunicoli era tremendo e lo era ancor di più in estate, dato che la forte differenza di temperatura tra interno ed esterno poteva causare non pochi problemi agli operai. Gli scavatori che si trovavano a lavorare nei bottini erano sottoposti a condizioni estreme, non solo di temperatura ma anche di fatica, visibilità e sicurezza. Chi lavorava nel sottosuolo senese veniva comunemente chiamato, dalla gente di sopra "guerco", termine che può essere spiegato in due differenti modi: i primo è quello più semplice, e deriva dal fatto che gli operai dopo aver passato molte ore in condizioni di scarsa visibilità, si ritrovavano con la vista talmente annebbiata da non vedere più niente, tanto che gli occhi quasi gli si chiudevano alla luce del sole, da cui la parola "guerchi" che altro non vuol dire che ciechi; l'altra spiegazione invece deriva da una italianizzazione della parola tedesca "werk" ovvero lavoro, che potrebbero aver fatto loro gli abitanti della Siena di allora. Come dicevo in apertura, lavorare nei cunicoli sotto Siena era duro e pericoloso, tanto che in molti ci lasciarono la vita. La suddivisione dei lavori sotto Siena prevedeva oltre gli scavatori o "guerchi", anche carpentieri, muratori, vetturali e le donne usate come staffette per i rifornimenti di vivande, dato che molto spessp gli uomini non potevano risalire in superfice. In tutta questa moltitudine di mestieri e lavori, si potevano incontrare anche operai specializzati come i minatori di Massa e Montieri che, a differenza dei guerchi, venivano ben pagati. 

martedì 3 marzo 2015

La tassa del dado

Fu dal 1400 che si iniziò la registrazione degli allacciamenti privati ai bottini, dato che spettava ai cittadini pagare le spese di scavo. Infatti, questa era l'unica forma di pagamento che il Comune di Siena pretendeva da chi si collegava ai bottini; fino al 1500 a Siena non vi era traccia di nessuna tassa per l'erogazione dell'acqua che era quindi gratuita per tutti. Soltanto a partire dal 1590 i cittadini con allacciamenti privati ai bottini dovettero iniziare a pagare il comune per il servizio dell'acqua, tassa da cui erano esentati i religiosi. Nel secolo successivo, ovvero nel 1600, il numero di allacciamenti crebbe in maniera esponenziale e siccome la prevenzione contro ogni forma di abusivismo non bastava, nel 1691 la magistratura della Biccherna impose a tutti coloro che avevano pozzi di non intorbidirne le acque, di non deviarne il corso e di non prenderne mai più del dovuto. Si passò poi ad un altra imposizione che prevedeva la chiusura di tutti i collegamenti con i bottini a meno che non si installasse, nel punto di congiunzione fra il gorello del bottino maestro e il proprio condotto, un misuratore per la regolazione della portata regolata dal magistrato della Biccherna. Tale regolatore di flusso, altro non era che un semplice foro su una lastra di bronzo, che lasciava passare la portata prefissata di 344 litri/giorno ovvero 8 barili. In questo modo nacque la prima tassa sulle acque, conosciuta all'epoca come  "il dado" e che rimase in voga fino al XXI secolo. In pratica gli utenti che volevano beneficiare dell'acqua nella loro cisterna, avrebbero dovuto presentarsi ad un addetto del comune con una lastra affinche venisse forata nel modo corretto e poi fissata dal capomastro comunale tra l'innesto del gorello e il condotto privato. Oltre a tutto questo erano gli stessi utenti che dovevano mantenere in funzione e pulita la deviazione, dato che il calcare poteva limitare fortemente il flusso di acqua. Bisogna sempre ricordare che i bottini avevano una funzione pubblica e non privata, quindi in periodi di forte siccità il comune poteva chiudere i condotti privati per alimentare le fonti della città e com'è facile capire queste interruzione generavano spesso violente proteste da parte dei cittadini. Non bisogna scordare che in quel periodo la città era in forte crescita e lo erano anche i bisogni dei suoi cittadini, così potevamo avere cittadini che nella stessa fonte lavavano pellami, budella di animali, facevano abbeverare cavalli. Insomma le acque bianche e quelle nere si mischiavano tra di loro e in caso di infrazione il dado poteva essere turato con un dito di creta.